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Approfondimenti Trigliceridi: curiosità, ultime notizie e tanto altri su come gestire la propria dieta in caso di valori alti.

La caffeina fa dimagrire?

Sembra avesse proprio ragione Giuseppe Verdi quando disse: “Il caffè è il balsamo del cuore e dello spirito”. Probabilmente il compositore della Traviata conosceva perfettamente le proprietà del caffè e i benefici che se ne traggono.

Il caffè è la bevanda più consumata al mondo e, conosciuto già dal 900 dopo Cristo, è quella che l’85% degli adulti preferisce. Anche se l’organizzazione Mondiale della Sanità non lo considera un alimento, il caffè è ricco di diversi nutrienti, tra cui vitamina B3, fibre solubili, minerali, come calcio, potassio e magnesio, proteine, aminoacidi e carboidrati, lipidi, acidi grassi liberi e caffeina. Ed è proprio la caffeina a conferire al caffè numerosi benefici.

Caffeina: benefici e controindicazioni

La caffeina è una sostanza alcaloide presente, oltre che nel caffè, anche nel tè, nella cola, nel cacao e nel guaranà. La si può trovare anche in alcune bevande energizzanti, nei farmaci come gli analgesici e nei prodotti anticellulite.

Per godere dei suoi effetti benefici non è necessario che la caffeina sia presente in grandi quantità, ma ne bastano pochi milligrammi. Se assunta moderatamente, la caffeina è importante perché:

Migliora la concentrazione, l’attenzione e l’umore.

Contrasta la sonnolenza.

Riduce la percezione della fatica e invoglia a fare attività fisica.

Aumenta l’adrenalina in circolo.

Previene l’occlusione delle vie coronariche.

Ostacola l’insorgenza di tumori alla gola e alla laringe.

– Protegge da malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.

Se però si eccede con il consumo di caffeina si possono verificare importanti effetti collaterali. I rischi e le controindicazioni a cui si va incontro, se si beve troppo caffè o altre bevande contenenti caffeina, sono insonnia, ipertensione ulcere, reflusso gastro esofageo.

Caffeina e metabolismo

Secondo alcuni studi condotti nel 2016, le persone che consumano grandi quantità di caffè al giorno sono quelle che riescono a metabolizzarla meglio e con maggiore facilità. Questo significa che l’organismo è in grado di autoregolarsi e la caffeina non è dannosa se consumata senza eccesso.

In seguito ad atre ricerche, si è giunti alla conclusione che il caffè, poiché contiene delle sostanze biologicamente attive, influenza il metabolismo umano. Tra queste sostanze c’è l’acido clorogenico, che sembra essere in grado di rallentare l’assorbimento dei carboidrati. Inoltre, si ritiene che la caffeina aumenterebbe dal 3 all’11% il tasso metabolico, cioè il numero delle calorie di cui il nostro corpo ha bisogno, e che, associata a una dieta ipocalorica e a una regolare attività fisica, faccia dimagrire. La diminuzione del peso corporeo avviene perché la caffeina stimola il rilascio di due ormoni (adrenalina e noradrenalina) che aumentano il metabolismo basale del 10-15%. Perché questo avvenga bisogna consumare 500 gr di caffeina, che equivalgono a 5-6 caffè.

Nonostante questi studi abbiano evidenziato uno stretto rapporto tra caffeina e metabolismo, c’è chi resta ancora scettico, affermando che non esiste alcun alimento in grado di aumentare il nostro metabolismo e che la caffeina non può agire sul suo funzionamento. Altri invece sostengono che la caffeina influisce negativamente sul metabolismo degli zuccheri.

È importante sottolineare anche che molti studiosi sono concordi nell’affermare che se si consuma caffeina abitualmente ci si assuefà ai suoi effetti. Per cui a distanza di tempo la caffeina smette di funzionare, cioè non aumenta il metabolismo e non brucia più i grassi.

Trovate ulteriori approfondimenti in questo articolo.

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TIA: cos’è, come si cura

Di fronte a certi segni particolari, c’è di che spaventarsi, pensando sempre alla peggiore delle ipotesi, peraltro verosimile. deformazioni del viso improvvise, improvvise perdite di sensibilità e forza soprattutto agli arti di un lato, depongono per incidenti vascolari cerebrali che richiedono trattamenti urgenti.

Cosa è L’Ictus

Da come hai letto in introduzione, stiamo parlando di incidenti vascolari che interessano il cervello, maggiormente conosciuti con il terribile termine “Ictus”.

Quando viene posta questa diagnosi c’è sempre da preoccuparsi perché se il danno è esteso e soprattutto interessa certa aree cerebrali, è a rischio la vita, altrimenti nell’assoluta maggioranza dei casi si riportano danni permanenti più o meno gravi.

L’Ictus consiste in un’interruzione nell’irrorazione di porzioni del cervello che, di conseguenza, vanno incontro a morte delle cellule interessate e perdita di funzioni per le quali quelle cellule provvedevano.

L’Ictus si realizza per rottura di vasi sanguigni che, quindi, provocano un’emorragia cerebrale con il sangue che non arriva più al distretto di destinazione oppure per evento di blocco della circolazione all’interno di vasi sanguigni cerebrali.

Cosa è il TIA

TIA è un acronimo di parole inglesi che, tradotte, significano attacco ischemico transitorio. Il Tia si riferisce a attacchi ischemici nel cervello, in modo molto analogo a come avviene nell’Ictus, tanto che il TIA è anche chiamato “Piccolo Ictus”.

Ciò che lo differenzia notevolmente dall’Ictus è l’entità del danno e soprattutto la sua durata limitata nel tempo. Anche in questo caso la base può essere emorragica, quando un vaso cerebrale perde sangue e non consente la corretta irrorazione a monte.

Il danno vascolare è molto limitato e si può riparare da solo limitando le conseguenze a problemi che tendono alla risoluzione spontanea in breve tempo. Si può avere un evento ischemico per blocco temporaneo totale o parziale in un ramo circolatorio all’interno del cervello.

Le Lesioni del TIA

In funzione di quale area cerebrale viene colpita, si avranno dei segni caratteristici del patimento cerebrale, molto simili ai sintomi dell’Ictus, anzi spesso sovrapponibili.

La persona noterà improvvisamente la caduta della faccia per l’abolizione del controllo nervoso dei muscoli facciali, la classica “faccia storta che ben conosciamo nell’Ictus.

Nello stesso modo può essere colpito un arto che perde la sensibilità e la funzionalità oppure può essere colpita la parola o la vista.

In ogni caso i segni del TIA sono caratterizzati dalla loro temporaneità, tanto che spesso le persone colpite arrivano dal medico, anche rapidamente e già non presentano più segni.

Cause del TIA

Nella maggior parte dei casi il TIA ha origine ischemica da interruzione del flusso del sangue in un distretto cerebrale.

Piccoli trombi che entrano in circolo e vanno a bloccare vasi sanguigni di calibro minore sono quasi sempre all’origine del TIA ma spesso dopo essersi fermati in un punto e aver provocato l’ischemia, riescono a rientrare in circolo e se ne vanno, facendo regredire spontaneamente i segni comparsi all’improvviso.

Anche una fibrillazione atriale cardiaca ha la capacità di provocare la formazione di trombi che possono causare il TIA.

Ha molta importanza la presenza nelle arterie di placche di colesterolo che possono ridurre il flusso sanguigno o staccarsi ed entrare in circolo agendo come un trombo.

L’ipertensione può anche provocare il TIA provocando la rottura di vasi sanguigni. Da qui l’importanza di mantenere sotto controllo la Pressione Arteriosa e il Colesterolo.

Cura del TIA

Nella fase della comparsa dei sintomi, i segni che corrispondono anche all’Ictus, non è possibile discriminare tra la possibilità che sia un Ictus o un TIA. Per questo motivo occorre sempre non perdere nemmeno un minuto e chiamare di corsa un’ambulanza.

Se poi si tratta di un TIA, i segni scompariranno presto, in genere al massimo in 24 ore ma spesso in poche ore o anche minuti.

In ogni caso occorre approfondire i motivi dell’evento al fine di prevenire un successivo, potenziale, Ictus.

La cura consiste nella somministrazione di antiaggreganti piastrinici e anticoagulanti ma anche nel controllo dell’ipertensione facilmente presente e nella riduzione del colesterolo.

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Cause e conseguenze del progesterone basso

Quando si parla di progesterone basso si entra nell’ambito della gravidanza ed è per questo motivo che risulta utile capire di cosa si tratta e se ci sono, o meno, dei rischi connessi a questa situazione. È altresì importante comprendere quali sono le cause che fanno sì che si abbiano bassi valori di progesterone in gravidanza.

La domanda che ci si deve porre, quindi, concerne il cosa si deve andare a fare nel caso in cui la specifica analisi vada a mettere in luce dei livelli troppo bassi di questo ormone steroideo.

Prima di entrare nello specifico, è importante capire quale sia il ruolo del progesterone e perché è così importante nella fase della gravidanza.

Ecco, quindi, che si deve sottolineare che si tratta di un ormone il cui scopo principale è quello di dare la possibilità di iniziare una gravidanza. Il progesterone, in parole povere, può essere sinonimo di capacità di concepimento ed è per questo motivo che è molto importante tenere sotto controllo quelli che sono i valori dello stesso.

Come detto, e come segnalato dall’ ottimo articolo pubblicato su Salutarmenteil blog creato e gestito dalla Dott.ssa Maria Carrano, il progesterone non è solo un ormone femminile, ma è presente in maggiore quantità nelle donne, proprio perché è l’ormone della gravidanza così come lo abbiamo definito.

Grazie alla presenza del progesterone, l’utero si prepara ad affrontare il percorso di sviluppo e l’impianto dell’embrione e questo spiega perché nella fase che segue quella dell’ovulazione ci sia un vero e proprio picco di suddetto ormone.

Dopo il concepimento è la placenta che inizia a secernere progesterone e questo ha un solo scopo: quello di far sviluppare l’embrione nel modo giusto. Attenzione, però, perché questo livello ormonale non è costante per tutta la gravidanza. Ad un certo punto, per permettere all’utero di prepararsi al parto, c’è un calo natural ed è normale che sia così.

Come si fa per valutare il livello di progesterone in fase di gravidanza? Sebbene non si tratti di un esame che si fa solitamente, il ginecologo che segue la donna incinta può farla sottoporre a una specifica analisi. Questa serve sia prima della gravidanza, per capire se una donna ha avuto o meno una regolare ovulazione, che per monitorare la placenta durante la fase di gestazione o per scongiurare le possibilità di aborto.

Tuttavia, il dosaggio del progesterone va eseguito anche quando ci si accorge di alcune anomalie che potrebbero far sospettare una carenza dello stesso. In concomitanza, molto spesso, si fanno fare anche altre analisi specifiche sia per gli ormoni che a livello tiroideo.

A questo punto, non rimane che andare ad analizzare cosa comporta la riduzione di progesterone nel sangue. Le cause di ciò sono diverse e bisogna conoscerle così da riuscire ad affrontare al meglio la situazione.

Dato che alcuni fattori possono alterare questa analisi, è utile sapere che solitamente l’esame del progesterone viene ripetuto nel corso dei mesi per un determinato periodo.

Quali sono, quindi, i valori da ritenersi normali e quando, invece, si parla di progesterone basso?

Nelle donne in fase luteale i valori standard sono compresi tra 1,70-27,00 ng/mL; in piena ovulazione tra 0,80-3,00 ng/mL; in fase follicolare tra 0,20-1,50 ng/mL. Valori inferiori possono provocare preoccupazione se si è in fase di gravidanza, ma non solo. Cosa può accadere? Tra le conseguenze c’è la morte intrauterina del feto, la menopausa, la sindrome di Turner, l’amenorrea, l’insufficienza ovarica e altri disturbi più o meno gravi.

È, quindi, importante tenere sotto controllo la situazione con l’aiuto di un esperto in grado di monitorare e di suggerire cosa fare in questi specifici casi.

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Come si evidenzia l’arteriopatia periferica

Una malattia come l’arteriopatia periferica viene provocata da una ridotta circolazione del sangue nelle arterie che portano il sangue agli arti inferiori, la riduzione dell’afflusso di sangue alle arterie degli arti superiori ed inferiori si deve all’ostruzione ed al restringimento delle arterie che portano il sangue dal cuore ai muscoli d agli organi del corpo umano. Questa patologia del sistema circolatorio è spesso provocata dall’aterosclerosi, una patologia a carico delle pareti interne delle arterie, caratterizzata dalla formazione di placche di materiale lipidico, proteico e fibroso che determinano il restringimento del lume del vaso arterioso: alcune arterie si rimpiccioliscono progressivamente arrivando talvolta alla totale occlusione provocando così un ridotto apporto di sangue. Tra gli altri fattori di rischio che possono favorire l’insorgenza dell’periferica bisogna segnalare condizioni quali: l’età, le persone con più di 50 anni sono più esposte al rischio di sviluppare la malattia con maggiore coinvolgimento dei soggetti ultrasettantenni di sesso maschile; il fumo di sigaretta; alti livelli di colesterolo e trigliceridi; la pressione alta; la presenza di diabete; i valori alti di omocisteina; una condizione di sovrappeso o di obesità; la vita sedentaria caratterizzata da ll’assenza di esercizio fisico. Altre informazioni si trovano su http://www.humanitas.it/malattie/arteriopatia-periferica. Continue reading

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Pazienti affetti da diabete profilo lipidico

Pazienti affetti da diabete profilo lipidico

Assume grande importanza il monitoraggio nei pazienti affetti da diabete del proprio profilo lipidico, infatti i pazienti affetti da diabete e da insulino-resistenza evidenziano come manifestazioni tipiche degli alti livelli di trigliceridi in associazione ad alti livelli di colesterolo totale (TC), bassi livelli di colesterolo HDL, alto rapporto TC/HDL-C che indica un aumento del rischio cardiovascolare. I pazienti diabetici inoltre tendono ad essere sovrappeso e presentano una pressione sanguigna alta, queste due condizioni a loro volta finiscono per aumentare il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. In genere il diabete si associa ad un’alterazione lipidica che si evidenzia con l’ipertrigliceridemia, spesso poi si evidenziano altre alterazioni quali: diminuzione del colesterolo HDL, aumento delle LDL e HDL, incrmeneto delle lipoproteine ricche in trigliceridi in fase postprandiale; il quadro clinico di queste alterazioni finisce per delineare la condizione della dislipidemia diabetica, che finisce per esporre il soggetto ad un elevato rischio cardiovascolare. Per approfondimenti si rimanda alla lettura dell’articolo http://www.trigliceridiecolesterolo.it/trigliceridi/trigliceridi-alti-cause-secondarie/. Continue reading

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Sindrome chilomicronemica come si diagnostica

Sindrome chilomicronemica come si diagnostica

Una patologia grave come la sindrome chilomicronemica, detta anche chilomicronemia, è dovuta alla presenza a livello ematico dell’inibitore della lipoprote in lipasi (tipo Ic), il soggetto colpito da questo quadro patologico evidenzia dunque ipertrigliceridemia e presenza dei chilomicroni nel sangue a digiuno, questa condizione espone il soggetto ad un elevato rischio di sviluppare pancreatite acuta. La lipasi lipoproteica rappresenta lo specifico enzima implicato nel metabolismo delle lipoproteine che contengono un gran numero di trigliceridi, tra cui i chilomicroni e VLDL; la lipasi lipoproteica si trova in diversi tessuti quali: adiposo, muscolare, cardiaco e ghiandola mammaria. La sindrome chilomicronemica ha un esordio alquanto precoce visto che di solito viene diagnosticata in età pediatrica, in alcuni casi si assiste ad una progressione asintomatica della malattia fino ad arrivare ad età adulta quando si assiste all’esordio della sintomatologia con comparsa di dolore addominale ricorrente in associazione a formazione di xantomatosi eruttiva, lipemia retinalis, infiltrazione del midollo osseo da parte di cellule schiumose, cefalea, epatosplenomegalia, iperviscosità ematica.  Si rinvia anche alla lettura di http://www.trigliceridiecolesterolo.it/trigliceridi/cause-genetiche-trigliceridi-alti-ipertrigliceridemia/. Continue reading

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Malattia di Refsum come si manifesta

Malattia di Refsum come si manifesta

Tra le patologie del metabolismo lipidico, la malattia di Refsum (detta anche malattia di Refsum classica o dell’adulto) è da imputare ad una disfunzione che coinvolge l’acido fitanico ossidasi (può essere dovuto a carenze di fitanoil-CoA idrossilasi) con accumulo di acido fitanico, questo prodotto del metabolismo dei grassi finisce per accumularsi nei tessuti. L’acido fitanico è presente soprattutto nei fosfolipidi e nei trigliceridi, costituendo circa il 50% degli acidi grassi dei lipidi epatici, invece la percentuale di acido fitanico nel tessuto adiposo è alquanto bassa rispetto agli acidi grassi totali, anche se è in questa sede che si concentra la maggior parte del contenuto corporeo di acido fitanico. Il nome di questa patologia si deve al neurologo norvegese Sigvald Bernhard Refsum che la studiò evidenziandone i caratteri principali. Questa  malattia neurologica, ereditaria a carattere autosomico recessivo, causata dall’eccessiva concentrazione di acido fitanico nelle cellule e nei tessuti provoca una serie di complicanze quali: danno nervoso e retinico, movimenti spastici, alterazioni ossee, disturbi cutanei. La malattia di Refsum è provocato da un’anomalia dell’assemblaggio dei perossisomi, che si caratterizzano per una maggiore sopravvivenza, ed è causato dalla compromissione della alfa-ossidazione degli acidi grassi a catena ramificata con accumulo di acido fitanico e dei suoi derivati nel plasma e nei tessuti. Altre notizie su http://www.msdmanuals.com/it-it/casa/problemi-di-salute-dei-bambini/malattie-ereditarie-del-metabolismo/patologie-del-metabolismo-lipidico. Continue reading

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Malattie cardiovascolari biomarcatori

Malattie cardiovascolari biomarcatori

Le malattie cardiovascolari rappresentano un grave problema di salute pubblica, per tale ragione verso di esse è sempre molto vivo l’interesse con lo scopo principale di identificare nuovi fattori di rischio cardiovascolare per migliorare la conoscenza della malattia e favorire l’identificazione dei fattori di rischio che vengono ricercati tramite lo studio di biomarcatori circolanti. Tra le principali cause che giocano un ruolo centrale nello sviluppo di queste condizioni patologiche bisogna segnalare condizioni quali: l’età, il sesso maschile, il fumo, la familiarità per cardiopatia ischemica, il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia; questi fattori di rischio da soli non sono sufficienti ad interpretare tutti i casi di infarto che si registrano nei soggetti considerati non a rischio. Con lo scopo di fornire una spiegazione più esaustiva sull’eziologia delle malattie cardiovascolari sempre più frequentemente gli studi clinici si indirizzano verso l’individuazione di nuovi marcatori legati a cicli metabolici oppure alla componente genica, per poter identifcare lo sviluppo di una determinata patologia cardiovascolare. Per approfondimenti si rimanda alla lettura di http://www.laboratoriogenoma.eu/prestazioni_sottocategoria.asp?IdCat=17&IdSubCat=823. Continue reading

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Malattia da accumulo di lipidi neutri (NLSD) come si manifesta

Malattia da accumulo di lipidi neutri (NLSD) come si manifesta

Il quadro patologico della malattia da accumulo di lipidi neutri (NLSD) ha una base genetica da ascrivere a delle mutazioni a carico del gene PNPLA2 che provoca a sua volta un funzionamento anomala  di un enzima corrispondente, si tratta dell’ATGL, la cui attività difende le cellule da un eccessivo accumulo di lipidi. La malattia si manifesta con modalità di trasmissione recessiva, per cui i genitori dei pazienti se non manifestano la malattia, risultano essere portatori della mutazione, quindi hanno il 25% di probabilità che i figli siano malati. La patologia provoca diverse complicazioni che possono colpire la cute, il cuore ed i muscoli ed in ambito clinico si distinguono due varianti: la prima forma tende a colpire principalmente la pelle determinando secchezza ed ittiosi; la seconda forma invece riguarda i muscoli, con interessamento delle gambe e delle spalle, che vengono colpite da debolezza ed atrofia.  Nei casi più gravi il danno ai muscoli può provocare nel paziente una grave disabilità, che comporta delle significative difficoltà quando si cammina o quando si prendono oppure quando si sollevano oggetti; tra le possibili conseguenze si registrano anche danni a carico del cuore che si traducono con la manifestazione di gravi aritmie, in alcuni casi il cuore può risentire di un ingrandimento e di uno scompenso cardiaco. Maggiori informazioni su http://www.telethon.it/ricerca-progetti/malattie-trattate/malattia-da-accumulo-di-lipidi-neutri-nlsd. Continue reading

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Triacilglicerolo lipasi adipocitaria il suo ruolo nel processo di idrolisi dei trigliceridi

Triacilglicerolo lipasi adipocitaria il suo ruolo nel processo di idrolisi dei trigliceridi

Nel tessuto adiposo bianco sono presenti gli acidi grassi in forma di trigliceridi, formando la principale riserva di energia per l’uomo che si serve del processo di idrolisi dei trigliceridi da cui deriva la liberazione in circolo di acidi grassi; ed infatti nel tessuto adiposo bianco si verifica l’azione sequenziale di ATGL, HSL e MGL che provoca l’idrolisi dei trigliceridi. Delle lipasi neutre, il triacilglicerolo lipasi adipocitaria svolge un ruolo importante nel catabolismo dei trigliceridi, ed infatti gli esseri umani con mutazioni a carico del gene che lo codifica risentono di alcune anomalie che provocano un accumulo sistemico di trigliceridi e cardiomiopatia. Lo studio di questi deficit ha permesso di rilevare che l’attività dell’enzima è necessaria per determinare la mobilizzazione dei trigliceridi nei tessuti adiposi e non adiposi, nello specifico questo enzima viene codificato da un gene localizzato sul cromosoma 11p15.5, appartiene alla famiglia delle proteine contenenti un dominio patatina, tra cui si ritrovano 9 membri umani e 8 murini. Nello specifico questo enzima catalizza il primo passaggio del processo do idrolisi dei trigliceridi da cui si ottiene la formazione di diacilgliceroli (digliceridi o DAG) ed acidi grassi. Se si vogliono reperire altre informazioni si rimanda alla lettura di http://www.tuscany-diet.net/lipidi/lipolisi/. Continue reading

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